LO STATUS DI FIGLIO NELL’ERA MODERNA: LA FECONDAZIONE ASSISTITA POST MORTEM

Nel corso degli ultimi anni si è assistito ad una progressiva emancipazione del concetto di genitorialitá dal modello tradizionale incentrato sul matrimonio. Il nuovo modo di concepire i rapporti familiari si adegua ad una società in continuo mutamento e, di conseguenza, riflette nuove istanze di tutela in contesti prima preclusi.
La tendenza evolutiva in tal senso è stata recepita a livello giurisprudenziale e legislativo anche in tema di procreazione, diversamente intesa rispetto al modello convenzionale offerto dal codice civile del 1942.
Invero, con la Legge n. 40/2004, il legislatore ha legittimato il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (P.M.A.) di tipo omologo, – ossia quando il patrimonio genetico del nascituro deriva dalla coppia che intende allevarlo – nell’ipotesi in cui risulti impraticabile la via del naturale concepimento.

In quest’ottica, il rilievo ascritto alla procreazione nella società moderna cambierebbe il modo di intendere la responsabilità genitoriale, con possibili implicazioni involgenti il rapporto di filiazione.

Sul punto, di recente, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione si è pronunciata sul riconoscimento della paternità di una bimba, nata in Italia, mediante la tecnica di fecondazione assistita eseguita post mortem all’estero.
In particolare, una coppia di coniugi aveva deciso di comune accordo di ricorrere alla fecondazione artificiale, stante l’impossibilità di concepire un figlio altrimenti.
Successivamente, il marito, appreso di essere gravemente malato, aveva reiterato, con apposita dichiarazione sottoscritta, il proprio consenso sia alla tecnica di P.M.A. che all’utilizzo post mortem del proprio seme crioconservato.
A seguito della nascita della figlia, ai fini della formazione del relativo atto, la madre aveva reso dichiarazione all’ufficiale di stato civile, corredata da apposita documentazione attestante, altresì, il consenso prestato dal marito prima del decesso.
Ritenuta la fecondazione post mortem in contrasto con l’ordine pubblico interno, l’ufficiale di stato civile aveva opposto rifiuto alla trascrizione della paternità nell’atto di nascita.

Tale impostazione, seppur diversamente articolata e accolta in primo e in secondo grado, è stata ribaltata in sede di legittimità per le motivazioni che seguono.

In via preliminare, si è inteso circoscrivere i termini della questione intorno alla possibilità o meno di rettificare un atto di nascita già formato sul territorio nazionale, nel senso invocato dalla madre ricorrente.
Inoltre, si è evidenziato come, nel caso di specie, il profilo di indagine dovesse riguardare necessariamente l’ambito operativo del procedimento ex art. 95-96 del D.P.R. n.396 del 2000, ossia la verifica della corrispondenza tra realtà fattuale, così come dichiarata all’ufficiale di stato civile e sua riproduzione nell’atto di nascita, dal momento che “ i registri dello stato civile, quali fonte delle certificazioni anagrafiche, devono contenere atti esattamente corrispondenti alla situazione quale è o dovrebbe essere nella realtá secondo la previsione di legge…” (cfr. Cass. n. 7530 del 1986).

Tali rilievi avrebbero consentito di escludere la valenza di altre problematiche eventualmente connesse al tema della trascrivibilitá dell’atto di nascita redatto all’estero e, di conseguenza, della liceità o meno, secondo l’ordinamento interno, di tecniche di fecondazione artificiale, consentite in altri paesi, come quella di cui al caso in esame (avvenuta in Spagna).

In altri termini, una volta verificatasi la nascita a seguito della fecondazione post mortem, in disparte gli eventuali profili di illegittimità di tale pratica in Italia, occorre stabilire quale disciplina risulti applicabile tra quella codicistica, in tema di prova presuntiva di paternità ex artt. 231-233 c.c., e quella di cui alla legge n. 40 del 2004 circa il valore determinante del consenso al concepimento mediante P.M.A..

A tal fine, in considerazione, altresì, degli approdi interpretativi di matrice nazionale e sovranazionale involgenti i diritti fondamentali della persona, secondo la Corte occorre valutare se le tecniche di procreazione medicalmente assistita siano da considerare alla stregua di “un metodo alternativo al concepimento naturale, oppure alla stregua di un trattamento sanitario volto a sopperire una problematica di natura medica che colpisce uno, o entrambi, i componenti della coppia”.

Ció posto, muovendo dall’analisi del dettato normativo, l’operativitá della presunzione di concepimento ex art. 232 c.c. si avrebbe quando non siano trascorsi trecento giorni dalla data di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio (nel caso di specie lo scioglimento del vincolo coniugale si è verificato per effetto del decesso del marito avvenuto in epoca antecedente la sottoposizione al trattamento di P.M.A.). In tal senso, dall’operativitá della presunzione di legge dipenderebbe la corrispondenza tra quanto dichiarato dalla madre non più coniugata e quanto riprodotto nell’atto di nascita.
Ed ancora, ai sensi dell’art. 250, comma 1, c.c., il riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio, nei modi previsti dall’art. 254 c.c., sarebbe consentito comunque ad entrambi i genitori, congiuntamente o disgiuntamente, anche se uniti in matrimonio con altra persona all’epoca del concepimento. In tale ipotesi, la verifica di conformità tra dichiarazione e sua riproduzione, nei termini suesposti, dipenderà dalla ricorrenza dei presupposti di cui all’art 254 c.c..

Quanto, invece, alla legge n. 40 del 2004, in materia di filiazione, assume rilievo la disposizione di cui all’art. 8, come modificato da ultimo dal D.Lgs. n.154 del 2013, rubricato “ Stato giuridico del nato”, il quale prescrive che “i nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell’articolo 6”.
In tale sede, è stato ritenuto utile, altresì, il richiamo all’art. 9 della citata legge, rubricato
“ Divieto del disconoscimento della paternità e dell’anonimato della madre”, il quale prende in considerazione l’ipotesi di fecondazione illegale, anche di tipo eterologo, ritenendo sufficiente il consenso comunque espresso per atti concludenti.

Come si è avuto modo di anticipare, nel caso preso in esame dalla Prima Sezione civile, l’evento nascita segna il limite di rilevanza degli eventuali profili di illegittimità dell’accesso alle tecniche di P.M.A. ed alla loro applicazione (di cui agli artt. 5, 6 e 12 L. n. 40/2004).

In tal senso, è stato ribadito, aderendo a quanto giá affermato, in altre occasioni, dalla Corte EDU, oltre che dalla Corte Costituzionale, che indipendentemente dalla tecnica di procreazione utilizzata e dalla liceità o meno della stessa, risulta, comunque, preminente la tutela giuridica del nato e della sua dignità (artt. 2, 30 e 31 Cost.). In questi termini, si è espressa anche in un precedente la stessa Suprema Corte affermando che “ le conseguenze della violazione delle prescrizioni e dei divieti posti dalla legge n. 40 del 2004 imputabile agli adulti che hanno fatto ricorso ad una pratica fecondativa illegale in Italia non possono ricadere su chi è nato” ( cfr. Cass.n. 19599/2016).

Tali assunti consentono allora di comprendere maggiormente la ratio garantista di cui al citato articolo 9, impositivo di divieti posti a tutela del nato, nonostante l’illiceitá delle tecniche fecondative adoperate (anche se nel caso in esame si trattava di fecondazione assistita omologa ma post mortem, ipotesi non prevista nel nostro ordinamento).

Dato il confronto tra l’impianto codicistico e quello offerto dalla legge n. 40 del 2004 in relazione agli artt. 8-9, si tratta allora di stabilire, come osservato dalla Corte, l’esatta latitudine applicativa della disciplina della filiazione nella procreazione medicalmente assistita: se da intendersi quale sistema alternativo rispetto a quello del codice o come eccezione alla procreazione naturale (di cui condividerebbe i medesimi principi e criteri). A seconda dell’opzione interpretativa prescelta, differenti sono le ricadute applicative in punto di attribuzione dello status di figlio e relative implicazioni derivanti dall’osservanza delle regole poste alla base della formazione dell’atto di nascita.

Diverse le soluzioni ipotizzate dalla dottrina e dalla giurisprudenza di legittimità, dal momento che risulta difficile coordinare con sistematicità e coerenza le esigenze di certezza e stabilitá dello stato di filiazione, stante la varietà dei contesti in cui assume rilievo.
Il concetto di figlio può essere letto in chiave evolutiva e ricomprendere le ipotesi in tema di adozione e di concepimento naturale e artificiale (omologa ed eterologa).
In tale ottica, ció che rileva è il complesso dei diritti di cui gode il nato, ossia di “crescere nella propria famiglia”, nonché, “ di avere certezza della propria provenienza biologica, rivelandosi questa come uno degli aspetti in cui si manifesta la sua identità personale” ( cfr. Cass. n. 6963 del 2018; Cass., S.U., n. 1946 del 2017; Cass. n. 15024 del 2016).

Data la preminenza dei diritti del nascituro, sotto il profilo della certezza dello stato di filiazione rispetto all’intento del legislatore di disciplinare con rigore l’accesso alle pratiche consentite di cui alla legge n. 40 del 2004, nel caso di specie, l’opzione interpretativa prescelta dalla Corte di legittimità è ricaduta sull’art. 8 dal quale emerge la “centralità del consenso come fattore determinante la genitorialitá “, data, altresì, l’assenza di qualsivoglia richiamo agli artt. 4 e 5 riguardanti i requisiti soggettivi dell’accesso alla procreazione artificiale ( tra i quali emerge l’esistenza in vita dei membri della coppia, senza alcuna specificazione del momento in cui tale requisito debba ricorrere nell’ambito del procedimento fecondativo).

In tale prospettiva, stante la duplicità del consenso manifestato dal padre (in termini di accesso alle tecniche di P.M.A. e utilizzo del proprio seme crioconservato), persistente fino al suo decesso, “ la disciplina di attribuzione di status nella procreazione medicalmente assistita configura un sistema alternativo, speciale, e non possono, di conseguenza, trovare applicazione i meccanismi di prova presuntiva del codice civile riferibili alla generazione biologica naturale”. Tale assunto troverebbe conferma nell’assenza di riferimenti normativi di segno contrario.

Si è, inoltre, precisato, che ai fini del consenso non è necessaria la ricorrenza di tutti i requisiti prescritti dall’art. 6 , potendo operare le condizioni previste dal richiamato articolo 9 (atti concludenti), purché lo stesso persista sino al momento del decesso, anche se verificatosi prima della formazione dell’embrione e la nascita avvenga oltre i trecento giorni dalla morte del padre.

Per completezza espositiva, è utile il richiamo agli altri quesiti evidenziati dalla Corte medesima, di cui si è fatto cenno in precedenza, in relazione ai quali è stata ritenuta, altresì, ammissibile la rettificazione dell’atto di nascita, il cui procedimento è disciplinato dall’art. 96 del D.p.r. n. 396 del 2000, in quanto finalizzata ad eliminare là difformità tra la realtà di fatto così come dichiarata davanti all’ufficiale di stato civile e quanto riprodotto nell’atto di nascita. La verifica della corrispondenza tra dichiarazione e sua riproduzione sarà poi oggetto di cognizione piena da parte dell’autoritá giudiziaria.

Inoltre, è stato chiarito che il potere di sindacare, da parte dell’ufficiale di stato, la compatibilità delle dichiarazioni rese con l’ordinamento giuridico e l’ordine pubblico è circoscritto a quelle situazioni produttive di effetti giuridici riguardo allo status della persona a cui si riferiscono. Diversamente, se la finalità delle predette dichiarazioni è quella di dare pubblica notizia di eventi, come la nascita o la morte, il cui verificarsi assume di per sè rilevanza per l’ordinamento giuridico, la verifica di conformità sarà preclusa e si dovrà procedere con la ricezione e la registrazione delle stesse.

La preminenza del rilievo ascritto alla discendenza biologica in termini di certezza e di stabilità del rapporto di filiazione conferma un dato ricorrente nei recenti arresti della giurisprudenza di legittimità: preservare l’identitá personale del minore sin dal momento della nascita. L’assunto secondo cui, nel caso di fecondazione artificiale, si può prescindere dal tempo del concepimento e della nascita, a condizione che sussista un consenso comunque manifestato, segna un ulteriore passaggio evolutivo del modo di concepire e di tutelare lo status di figlio nell’era moderna.