
Di recente si è posta la questione dell’esistenza o meno di un diritto in capo ai genitori di scegliere per i propri figli – aderenti al progetto formativo a tempo pieno o prolungato delle scuole pubbliche primarie e secondarie – un modello alternativo alla refezione scolastica, ossia il pasto domestico, lasciando invariati i tempi e i luoghi di consumo all’uopo predisposti dall’amministrazione locale.
Dato il rilievo costituzionale della tematica, involgente il diritto all’istruzione, all’educazione dei figli e all’autodeterminazione individuale, in relazione alle scelte alimentari (artt. 2, 3, 30 comma1, 32, 34, commi 1 e 2, Cost), la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha rimesso gli atti – con ordinanza interlocutoria n. 6972/2019 – al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
IL CASO
Il contrasto interpretativo è sorto a seguito del giudizio promosso da alcuni genitori di alunni delle scuole elementari e medie di un Comune – nel quale veniva convenuto, oltre all’amministrazione comunale, anche il MIUR – per far accertare il loro diritto all’autorefezione, ossia la facoltà di scegliere per i propri figli il pasto da consumare in alternativa a quello offerto dal servizio mensa scolastico, nonché, negli stessi locali ad esso adibiti.
La tesi argomentativa sostenuta dai genitori muoveva dall’assunto per cui il“tempo mensa” coinciderebbe con il “tempo scuola” costituendo un momento formativo di condivisione tra gli alunni che consumano nello stesso luogo e nello stesso orario i pasti. Pertanto, secondo tale impostazione, il concetto di gratuità e obbligatorietà dell’istruzione pubblica comprenderebbe necessariamente il diritto ad una fruizione libera e incondizionata di tutte le attività formative pomeridiane tra le quali sarebbe possibile annoverare anche il tempo mensa.
Gli sviluppi processuali della vicenda spiegano la rimessione della questione al vaglio delle Sezioni Unite, da valutare alla luce delle differenti posizioni assunte dai giudici di merito nei primi due gradi di giudizio.
Invero, in primo grado il Tribunale ha ritenuto infondata la pretesa delle famiglie muovendo dal presupposto che la normativa di settore non consentirebbe ai genitori di modulare a loro discrezione il contenuto della prestazione del servizio mensa, né tantomeno di attribuire un diritto correlato all’istituzione del servizio stesso. In quest’ottica, la libertà di scelta dei genitori è stata concepita in una duplice accezione: come libertà di optare tra due moduli formativi a tempo libero oppure a tempo pieno e, in tale ultima evenienza, come libertà di usufruire o meno del servizio mensa.
Di diverso avviso è stata la Corte d’appello che ha ritenuto di accogliere il gravame dei privati limitatamente al diritto di scegliere il pasto domestico in alternativa a quello offerto dal servizio di refezione scolastica e di consumarlo nell’orario della mensa scolastica e all’interno della struttura – con esclusione del locale referettorio – astenendosi dal prendere posizione in merito alle “misure organizzative, anche in funzione degli aspetti igienico sanitari, in relazione alla specifica situazione logistica dei singoli istituti interessati”, essendo valutazioni di opportunità riservate all’amministrazione e rispetto alle quali, dunque, la cognizione ordinaria risulta esclusa.
Diversi gli argomenti addotti a sostegno di tale assunto.
Muovendo dalla esatta perimetrazione del concetto di istruzione, la Corte ha osservato che il “tempo mensa”, inteso quale momento di erogazione dei pasti, rientrerebbe a pieno titolo nel c.d. “tempo scuola”, comprensivo di tutte le attività educative e didattiche, quale fenomeno formativo unitario. In sostanza, secondo questa tesi, la condivisione dei pasti tra gli alunni costituirebbe “un diritto soggettivo perfetto perché inerente al diritto all’istruzione” di valenza costituzionale (art 34 Cost). In tale prospettiva, il servizio mensa garantirebbe lo svolgimento in continuità del processo educativo, pur consistendo in una prestazione facoltativa e accessoria al progetto formativo a tempo pieno, rimessa alla libera scelta degli utenti che intendono avvalersene.
A sostegno della tesi favorevole al riconoscimento del diritto cd. all’autorefezione, è stata richiamata una pronuncia del Consiglio di Stato che ha annullato una delibera comunale, viziata sotto il profilo dell’eccesso di potere per irragionevolezza, per aver imposto un divieto al consumo di cibi portati da casa nei locali scolastici, non giustificato in concreto da motivi di sicurezza igienico-sanitaria. In occasione di tale pronuncia, è stato osservato che in relazione alle merende portate da casa nessuna questione di ordine igienico-sanitaria è stata sollevata e ciò nonostante ne è stato consentito il consumo durante l’orario scolastico.
Date le conclusioni raggiunte nella sentenza di appello, le amministrazioni hanno presentato ricorso in Cassazione ritenendo come, alla luce dell’impianto normativo e costituzionale di riferimento, risulterebbe precluso il riconoscimento di un diritto soggettivo degli alunni di consumare pasti alternativi a quelli offerti dal servizio di refezione scolastica, nell’orario e nei locali destinati alla mensa comune. In tale prospettiva, il “tempo mensa” è stato inteso come servizio di refezione comprensivo di costi diretti e indiretti di gestione e di organizzazione e in quanto tale sottratto all’obbligo di frequenza scolastica. In tal senso, è stato osservato come le famiglie restino libere di scegliere se usufruire o meno del servizio, mentre spetta alle amministrazioni scegliere le modalità di erogazione della prestazione che ritengono più opportune, compatibilmente con le strutture e le risorse a disposizione.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Considerate le tesi argomentative a sostegno della configurabilità o meno di un diritto all’autorefezione, i principali profili problematici emersi sul tema assumono rilievo se considerati nella prospettiva di tutela dei diversi interessi coinvolti, pubblici e individuali.
Invero, il diverso modo di intendere il principio di autodeterminazione individuale, nel contesto in esame, è stato posto in relazione alle scelte alimentari o a quelle organizzative di gestione di un servizio pubblico, a seconda dell’opzione interpretativa prescelta.
In particolare, secondo la tesi contraria, la refezione individuale comporterebbe la violazione dei principi di uguaglianza e di non discriminazione, nonché del diritto alla salute, tenuto conto di una serie di rischi di natura igienico-sanitaria (in relazione ad esempio alla tracciabilità di prodotti non controllabili; all’individuazione di un responsabile della sicurezza dei prodotti e alla sanificazione dei locali), discriminatoria (nei confronti delle famiglie che pagano il contributo per il servizio mensa di cui si avvalgono) ed economica (in relazione ai possibili costi organizzativi aggiuntivi).
Secondo la tesi favorevole, invece, il diritto di scegliere il pasto domestico e di consumarlo nell’orario e nei luoghi adibiti a mensa scolastica è ancorato ai principi costituzionali di gratuità dell’istruzione pubblica inferiore (la condivisione dei pasti, quale momento di confronto e di socializzazione, rientrerebbe nel progetto formativo delle attività pomeridiane), di tutela della salute intesa in termini di libertà nelle scelte alimentari, di tutela dei genitori lavoratori (date le difficoltà logistiche nel prelevare e riportare i figli a scuola) e di uguaglianza.
In attesa di ulteriori sviluppi della vicenda, è utile osservare come nei contesti in cui venga in rilievo in modo diretto o di riflesso la tutela del minore si presti una maggiore cautela nell’adozione delle misure idonee ad assicurare la salvaguardia dei principi costituzionali.