Con l’ordinanza 17100 del 26 giugno 2019 la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto di una donna ultrasessantenne, non coniugata, ad adottare un bambino di otto anni di età affetto da una disabilità grave.
La pronuncia è stata salutata da molti organi stampa come un via libera all’adozione da parte dei single, annunci frutto però di una lettura non del tutto attenta della fattispecie concreta oggetto di quel giudizio. La vicenda riguardava infatti un caso di adozione speciale ai sensi dell’art. 44 L. 184/83 e non già di una adozione propria.
Il caso riguardava un bimbo affetto da tetraparesi spastica abbandonato dai genitori a pochissimi mesi di vita ed affidato ad una donna di 62 anni (infermiera pediatrica) che lo aveva curato attentamente instaurando con lui un forte legame affettivo e che ne aveva chiesto l’adozione.
I genitori avevano intanto richiesto la revoca della dichiarazione di decadenza dalla potestà genitoriale, ma la domanda veniva respinta dal Tribunale di Napoli nel 2016. Sempre il Tribunale di Napoli decretava l’adozione del bambino ai sensi dell’art. 44 L. 184/83 da parte dell’infermiera affidataria.
Anche la Corte d’Appello di Napoli respingeva l’ulteriore impugnativa dei genitori che ricorrevano quindi in Cassazione contestando l’adozione del figlio sotto svariati profili: l’età della donna (di oltre 45 anni più grande del minore e quindi asseritamente in violazione dell’art. 6 l. 184/1983), alla mancata considerazione delle condizioni di salute del piccolo difficili da gestire per una single e infine il loro mancato consenso all’adozione stessa richiesto invece dall’art. 46 della medesima legge.
La disciplina rilevante in causa però no era quella dell’adozione propria ma quella dell’adozione in casi speciali ex articolo 44 lettera d) della legge 184/1983. Come noto si tratta di una fattispecie adottiva già prevista dalla legge italiana ed aperta non solo ai coniugi ma anche alle coppie di fatto e ai singoli, senza previsione di limiti di età o di altri requisiti, e applicabile anche a minori che non si trovino in stato di abbandono e quindi non adottabili.
Pare quindi un po’ eccessivo il clamore con il quale è stata accolta la pronuncia.
La Suprema Corte con l’Ordinanza in esame ha definito il giudizio rigettando tutti i motivi di ricorso proposti dai genitori del bambino ed ha confermato l’adozione speciale riconoscendo l’esistenza dei seguenti presupposti:
- impossibilità di procedere all’adozione piena in quanto non sussisteva lo stato di abbandono del minore;
- esistenza di una relazione affettiva, stabile e consolidata, con la donna che lo aveva per 8 anni e con la quale aveva instaurato un legame affettivo meritevole di tutela
La Corte nella motivazione ha ben delineato la portata della norma ricordando che si tratta di “una clausola di chiusura del sistema, intesa a consentire l’adozione tutte le volte in cui è necessario salvaguardare la continuità affettiva ed educativa della relazione tra adottante ed adottando (e non certo tra quest’ultimo ed i genitori naturali), come elemento caratterizzante del concreto interesse del minore a vedere riconosciuti i legami sviluppatisi con altri soggetti che se ne prendono cura”.
Il presupposto imprescindibile per l’applicazione della disposizione è la impossibilità di affidamento preadottivo, impossibilità che deve intendersi come “impossibilità di diritto come nel caso di mancato reperimento (o rifiuto) di aspiranti all’adozione legittimante (Cass., 27/09/2013, n. 22292)”.
L’adozione in casi speciali ricorda la Corte è istituto diverso dall’adozione piena e “non presuppone necessariamente una situazione di abbandono dell’adottando – condizione nella specie, esclusa in radice, atteso l’affidamento del minore alla S. – e può essere disposta allorchè si accerti, in concreto, l’interesse del minore al riconoscimento di una relazione affettiva già instaurata e consolidata con chi se ne prende stabilmente cura (Cass., 22/06/2016, n. 12962)”.
Successivamente la Corte, rilevato che l’art. 44 della legge 184/83 non richiede alcun requisito soggettivo in capo all’adottante ma unicamente che vi siano almeno 18 anni di differenza tra adottante e adottato, conclude ricordando che “l’accesso a tale forma di adozione non legittimante è consentito alle persone singole ed alle coppie di fatto (Cass., n. 12962/2016), nei limiti di età suindicati”.
La Corte passa infine ad esaminare la censura relativa alla mancanza di consenso all’adozione da parte dei genitori naturali ricordando come in materia di adozione particolare sia preclusivo esclusivamente il dissenso del genitore “che non sia mero titolare della responsabilità genitoriale, ma ne abbia altresì il concreto esercizio grazie ad un rapporto effettivo con il minore, caratterizzato di regola dalla convivenza, in ragione della centralità attribuita dagli artt. 29 e 30 Cost. all’effettività del rapporto genitore-figli (Cass., 21/09/2015, n. 18575)”.
Nel caso di specie, prosegue la Suprema Corte, questa condizione non sussisteva in quanto i genitori del minore erano stati dichiarati decaduti dalla responsabilità genitoriale nei confronti del figlio e la CTU svolta in primo grado li aveva valutati come “del tutto inadatti al ruolo genitoriale in relazione ad un bambino come D., affetto da gravissime patologie, delle quali non hanno affatto una piena consapevolezza, avendolo allontanato fin da piccolissimo”.
Al contrario l’adottante si era dimostrata persona “in grado di provvedere a tutte le necessità del minore, con la collaborazione della figli in grado di provvedere ampiamente a tutte le necessità del bambino, anche con la collaborazione della figlia”.
In base a tutte queste considerazioni i Giudici della Suprema Corte hanno quindi confermato l’adozione del minore ponendo al centro del discorso, conformemente del resto ai principi dell’ordinamento, l’interesse del minore al mantenimento di un rapporto affettivo stabile.