Pensione di reversibilità al coniuge divorziato

L’ordinanza 24041 del 2019 della Cassazione fornisce alcuni elementi chiarificatori in merito al momento di insorgenza del diritto ad una quota della pensione di reversibilità da parte di un ex coniuge.

La vicenda di causa

Il giudizio di primo grado era stato instaurato da una moglie divorziata la quale chiedeva il riconoscimento di una quota della pensione di reversibilità e del trattamento di fine rapporto dell’ex marito deceduto. I due coniugi si erano separati, dopo 24 anni di matrimonio, nel marzo 2001 e la separazione aveva previsto un assegno di mantenimento mensile a favore della moglie.

Successivamente era stato avviato il giudizio di divorzio nel quale, nell’anno 2005, era stato disposto con ordinanza presidenziale un assegno divorzile a favore della moglie pari ad € 1.250,00.

Nell’anno 2009 era intervenuta una sentenza parziale sullo status  divorzile mentre il giudizio era proseguito relativamente al diritto ed al quantum dell’assegno.

Nelle more del giudizio l’ex coniuge si risposava ma nell’aprile 2013 veniva a mancare.

Solo nel giugno 2013, quando appunto l’ex coniuge era già defunto, veniva emessa la sentenza che definiva la causa di divorzio riconoscendo alla ex moglie il diritto ad un assegno mensile a far data dal deposito della stessa sentenza.

In sintesi quindi il provvedimento che fondava il diritto all’assegno divorzile era successivo al decesso dell’ex coniuge obbligato e titolare di pensione e sulla base di questa circostanza di fatto il Tribunale di Brindisi nel decidere la giudizio relativo al diritto alla pensione di reversibilità aveva rigettato la domanda.

La donna proponeva appello che veniva accolto dalla Corte d’Appello di Bari ed otteneva quindi il riconoscimento di una quota pari al 35% della pensione del de cuius (il restante 65% spettando invece alla vedova).

Il giudizio di Cassazione

Sia la ex moglie che la vedova ricorrevano in Cassazione, una in via principale e l’altra in via incidentale.

Mentre il ricorso principale contestava il quantum riconosciuto, il ricorso incidentale della vedova contestava in radice il diritto della ex moglie ad una quota della reversibilità “nonostante questa alla data del decesso di D. ((OMISSIS)) – non fosse ancora titolare dell’assegno divorzile perché giudizialmente riconosciutole solo con la sentenza del Tribunale di Bari in data 13/6/2013. Rimarca, all’uopo, che il Tribunale aveva fissano la decorrenza di tale assegno a far data dal deposito della medesima decisione, avendo cura di precisare che per la fase pregressa, intercorrente tra la data di introduzione del giudizio divorzile e fino alla pronuncia non vi era stata alcuna esplicita richiesta di determinazione dell’assegno di mantenimento per il periodo pregresso” .

La tesi della controricorrente era dunque quella per cui difettassero in capo alla ex moglie i presupposti richiesti dall’art. 9 della legge 898/1970.

La decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione confermava la correttezza della decisione d’Appello ribadendo come ai fini del riconoscimento del diritto alla quota di reversibilità assuma “rilievo il riconoscimento in concreto e non in astratto del diritto all’assegno per effetto di una pronuncia giurisdizionale, che, nel caso di specie, è intervenuta. Essa non costituirà titolo attivabile nei confronti di colui che era stato indicato come destinatario, ma vale a consolidare il presupposto della prestazione previdenziale, che, secondo la nostra giurisprudenza, neppure deve essere assistito dall’autorità del giudicato (Cass. n. 4107 del 20/02/2018)”.

In buona sostanza ai fini del diritto alla quota di pensione di reversibilità rileva il dato concreto della titolarità di un assegno divorzile in quanto l’art. 9 citato richiede unicamente che l’ex coniuge sia titolare di un assegno di mantenimento ma nulla specifica sul rapporto temporale tra il riconoscimento giudiziale dell’assegno e decesso del coniuge.